Estratto dal libro di Luca Lestingi:
“45 giorni e 80 anni: dal 25 luglio all’8 settembre 1943 passando per l’oggi – Come non abbiamo ancora superato gli eventi di quel periodo“
Quando muore la democrazia, muore la patria
La data del probabile decesso?
Ogni giorno
Nel trattare questi temi storici così potenti bisogna studiare molti aspetti tra loro stratificati ed interconnessi, inoltre ci vuole tanta accortezza nel gestire le fonti. Ad esempio, le testimonianze dirette dei protagonisti sono spesso da prendere con cautela come, a dimostrazione, il resoconto dello stesso gen. Castellano che indica una versione dei fatti dell’armistizio di Cassibile non proprio sempre facile da intersecare e sovrapporre ad altre versioni di altri personaggi del tempo. Altresì
i testi degli storici illustri percorrono vie a volte autoreferenziali e sofismi elaborati che sembra perdano il vero punto della questione: fu proprio l’8 settembre la vergogna dell’Italia, la perdita dell’identità nazionale o piuttosto tutte le nefandezze fatte dal fascismo in un folle crescendo nel ventennio precedente?
[…]
L’8 settembre è stato storicizzato come “morte della Patria…”, “vergogna dell’Italia…” affermazioni non facili da affrontare proferite da autorevoli studiosi.
Renzo De Felice nel suo libro “Rosso e Nero” (Baldini & Castoldi, 1995), sostiene che l’8 settembre 1943 ha rappresentato nella coscienza degli italiani la perdita dell’idea di nazione, perdita che avrebbe “minato per sempre la memoria collettiva nazionale”.
[..]
“Morte della patria…”, ma allora prima era viva? Quindi se l’8 settembre fu lo spartiacque viva/morta allora la patria era viva anche senza il duce? Se così fosse quindi non si tratterebbe delle colpe del duce che non ha centrato nemmeno una scelta giusta dall’entrata in guerra…
[…]
Ma allora la Patria era viva anche con le leggi razziali in vigore? Era viva con manganelli, olio di ricino e fucilazioni in piazza, con la soppressione della stampa e dei sindacati, senza libertà di pensiero, con l’omologazione dell’individuo e della società civile, con gli avversari politici fatti fuori, coi soldati mandati allo sbando senza equipaggiamento idoneo e con armi obsolete? O forse quegli avvenimenti uccisero lo Stato-Nazione ma non la Patria alla quale gli italiani erano ancora attaccati a qualche brandello?
[…]
Fu la pantomima dell’armistizio che uccise la patria? Certo bella figura non la facemmo di certo, gli americani furono sconcertati e irritati, ma questo il popolo non lo seppe.
Fu la resa in sé? Il popolo improvvisamente si trovò a combattere contro l’alleato di pochi secondi prima. Ma il popolo non accettò mai l’alleanza coi germanici, era la guerra voluta dal duce…
Fu il cambio di casacca di alleanza? Ma allora rimanere orgogliosamente e ottusamente dalla parte sbagliata della storia e succubi dei nazisti non sarebbe stato allora da considerare vera morte della patria?
Fu perdere l’orgoglio nel non mantenere la parola data di una alleanza d’acciaio ma in realtà monodirezionale solo per il lato germanico (l’unico acciaio fu la fune con la quale Hitler – succube e ignavo Mussolini – legò l’Italia col cappio al collo).
[…]
Vergogna di non sapere mantenere la propria parola? di non saper tener fede agli impegni presi? Ma presi con chi? Con un alleato che ha sempre, ripetiamo, fin dall’occupazione dei Sudeti, fatto come era comodo a lui.
[…]
Oppure è “peculiare peculiarità” italiana la convivenza contemporanea della dicotomia “amor patrio vs disprezzo della Nazione-stato”? Uno strabismo identitario tutto italico dal quale ancora dobbiamo guarire? Siamo invidiosi dello sciovinismo francese, ma poi siamo i primi a prenderli in giro per la loro puzza sotto il
naso? Un conflitto tipico italiano tra la cosa pubblica e la cosa nostra, tra interesse pubblico e interesse privato e questo, mi permetto di dirlo, fin dal senato romano ad oggi.
[…]
Sostenere che l’8 settembre rappresentò la morte della patria francamente mi sembra una discussione veramente sensazionalistica con scarso costrutto. Più che l’8 settembre 1943 si potrebbero identificare molte altre date come “colpi mortali alla Patria”.
Ad esempio, il colpo mortale, leggasi vera vergogna, fu la discesa in guerra del 10.VI.1940, e non l’8 settembre 1943, una discesa agli inferi sapendo di non avere i mezzi per risalire … un drammatico, gigantesco azzardo del Duce con nessuno dei suoi uomini capaci di dirgli che stava puntando tutto sul successo del Fuhrer, senza avere le minime capacità, ripetiamo, organizzative, logistiche, strutturali per contribuire al suo successo.
Le continue grandi bugie propinate alla massa: “a noi!”, “vincere e vinceremo”, “li fermeremo sul bagnasciuga”, “spezzeremo le reni alla Grecia”, “sarà una guerra breve e gloriosa”… questo continuo trattare il popolo come un ebete credulone che si beve ogni titolo sensazionalistico, questa fu vergogna! Un dittatore senza vergona è stata la vera vergona di un’Italia illusa e abbandonata.
[…]
Sostenere che il sentimento della nazione fu accresciuto dal fascismo è evidentemente una grande falsità: se il duce era strettamente identificabile e SOVRAPPONIBILE al fascismo e quindi anche alla patria e quindi alla Nazione dov’erano allora i fascisti la domenica sera del 25 luglio per liberare il loro Duce-Patria? Il loro Duce-Stato? Il loro Duce-Nazione? Ci furono manifestazioni pro-dittatore davanti al Quirinale? No! Ci furono manifestazioni davanti villa Ada Savoia? No! Davanti i ministeri? Davanti Palazzo Venezia? No, non lo cercò nessuno, anzi fascisti e nobili si preoccuparono solo di proteggere le proprie terga e non il loro Duce.
[…]
Di quale tipo di Patria si poteva essere orgogliosi dopo l’8 settembre? Di quella della coppia Re-Badoglio, poi Regno del sud, che non dissero nulla dell’armistizio fino a pochi minuti prima del proclama alla radio e si concentrarono solo alla fuga? di quella del nord (RSI) con la coppia Duce-Hitler? Di quella sovra-politica del Vaticano con un Papa funzionante ad intermittenza?
[…]
Sia chiaro che non si può sostenere che l’8 settembre abbia rappresentato la fine della sovranità italiana. Questa tanto sbandierata sovranità e indipendenza italiana la sgretolò il duce con la sua smania di competizione col Fuhrer e che la trascinò in una sudditanza sempre più marcata e forte. L’Italia indipendente cadde il 10 giugno 1940. Tutto il resto sono elucubrazioni vane. L’8 settembre deve invece essere inteso come il punto di risalita dagli inferi del fascismo.
[…]
Il fascismo ha contribuito a scardinare l’identità italiana. In un popolo dove per millenni si sono consumate congiure e cospirazioni, intrighi di potere, faide, dove il campanilismo e le fazioni sono state più forti dei nostri graniti e dei nostri marmi, il fascismo è stato un potente elemento disgregativo del tessuto sociale. Un allontanamento dalla cosa pubblica per abbracciare la “cosa nostra” pittata di nero. Il fascismo ha spersonalizzato il popolo, lo ha “pecoronizzato” a suo vantaggio, lo ha privato di volontà pubblica per farlo cadere nell’”affarificio” personale quotidiano creandosi una sua propria dimensione di “legalità” e di priorità. Quale mai identità sana e spontanea poteva avere una simile nazione in 20 anni di lavaggio della testa?
[segue]
Estratto dal libro di Luca Lestingi:
“45 giorni e 80 anni: dal 25 luglio all’8 settembre 1943
passando per l’oggi – Come non abbiamo ancora superato gli eventi di
quel periodo“
1943 8settembre 8settembre1943 armistizio roma1943 seconda guerra mondiale seconda guerra mondiale roma storia storiadItalia ww2 WWII
Questo testo solleva interessanti interrogativi sull’importanza e l’impatto dell’8 settembre 1943 nella storia italiana. L’autore analizza varie prospettive, mettendo in discussione l’affermazione che tale data rappresenti la “morte della patria”. Si fa notare che la patria era forse già morta a causa delle leggi razziali, della repressione politica e della mancanza di libertà durante il regime fascista. Inoltre, si pone l’accento sul fatto che l’alleanza con la Germania nazista era stata una scelta sbagliata, rendendo difficile considerare l’8 settembre come il momento in cui la patria morì. L’autore critica anche il comportamento del regime fascista e del duce Mussolini, sottolineando le promesse non mantenute e le bugie propinate al popolo, definendolo come una vergogna per l’Italia illusa e abbandonata. Infine, si afferma che il fascismo ha contribuito a disgregare l’identità italiana, allontanando il popolo dalla cosa pubblica e incentivando un’adesione alla “cosa nostra” personalistica. Questo testo invita a riflettere sulla complessità degli eventi storici e sulle diverse interpretazioni che possono essere fatte.